«Hertha Pauli ha scritto il miglior libro sull’Anschluss, la danza macabra della letteratura austriaca, e sull’odissea dell’emigrazione»
(Joseph Wechsberg, «Frankfurter Allgemeine Zeitung»).«Non conosco altra testimonianza letteraria della persecuzione che si sia così instancabilmente consacrata al valore della vita e degli esseri umani, e abbia saputo richiamare alla memoria fatti ed esperienze vissute attraverso immagini e scene così luminose»
(Karl-Markus Gauß).
Hertha Pauli
Traduzione di Enrico Arosio
Postfazione di Karl-Markus Gauß
«Le fondamenta»
33,00 €
«Un’ode alla vita e all’amicizia in piena guerra» («Süddeutsche Zeitung»).
Tutto ha inizio l’11 marzo 1938 al Café Herrenhof, nel cuore nobile di Vienna, alla vigilia dell’annessione dell’Austria al Reich tedesco. Hertha Pauli, scrittrice e agente letteraria, siede con gli amici antinazisti a pochi tavoli di distanza dal ministro Seyß-Inquart – fiduciario di Hitler nella capitale austriaca –, il quale riceve una chiamata urgente da Berlino. Fuori, manipoli di giovani nazionalsocialisti sono assembrati davanti all’Opera, e le loro grida risuonano « come un incessante latrar di cani». Hertha, di colpo, ha come la premonizione dello «strappo» che segnerà la sua vita. Anche lei, infatti, sarà costretta a condividere il destino di molti connazionali: la perdita di ogni certezza e la frenesia della fuga. Una fuga che la porterà a Parigi, dove frequenterà un piccolo circolo di émigrés di lingua tedesca – tra cui Joseph Roth, habitué al Café Le Tournon –, in un febbrile alternarsi di paura e speranza, con la morte che sembra incombere: da quella assurda di Ödön von Horváth a quella dello stesso Roth, sfinito dall’alcol e dalla malinconia.Ma Parigi è solo la prima tappa delle sue peregrinazioni: mentre la Francia tracolla e da rifugio si trasforma in trappola, Hertha si unisce alla migrazione di massa verso il Sud ancora libero, sorta di esodo biblico sulla Route nationale ingombra di profughi e soldati sbandati. Arriva a Tolosa e da lì raggiunge Marsiglia, dove ritrova Alma e Franz Werfel e sosta per settimane in un’attesa angosciosa («… sedevamo al Bar Mistral come ratti su una nave che affonda»). Quindi, grazie all’intercessione di Thomas Mann e all’aiuto in loco dell’americano Varian Fry, riuscirà infine ad approdare a Lisbona, dopo aver attraversato i Pirenei a piedi, e a imbarcarsi alla volta di New York – dove scoprirà che la Statua della Libertà regge una fiaccola e non una spada, come aveva letto in America di Kafka. È difficile trovare, nella pur ricca letteratura degli esuli mitteleuropei, una testimonianza che abbia l’intensità di questo memoir di Hertha Pauli, dove uno sguardo sempre lucido è insieme toccato da una grazia incantevole. E dove a ogni dettaglio ci attraversa un fremito, perché la Pauli sta evocando l’enormità della tragedia della Storia – senza tuttavia mai cedere al rancore, e tantomeno all’odio, e conservando sempre un fondo di suprema, contagiosa leggerezza: «Più bevevamo vin rosé, più rosea ci appariva la situazione».
«A ogni capoverso che Roth buttava giù seguiva un sorso; il bicchiere pieno si vuotava lentamente ma inesorabilmente, così come il foglio bianco si riempiva della sua calligrafia minuta e regolare. Era così che lavorava, giorno e notte».
Hertha Pauli (Vienna, 1906 – New York, 1973), sorella del Premio Nobel per la fisica Wolfgang Pauli, è stata attrice, scrittrice e giornalista. La sua biografia della pacifista Bertha von Suttner, pubblicata a Vienna nel 1937, viene prontamente messa all’indice in Germania dal governo nazista. Dopo due anni e mezzo di fuga, giunge negli Stati Uniti nel settembre 1940, dove risiederà e sarà apprezzata autrice di biografie e di libri per ragazzi (tra cui Silent Night. The Story of a Song, 1943). Lo strappo del tempo nel mio cuore è apparso per la prima volta in Austria nel 1970.